“Il bambino impara ciò che vive”

con questa frase si apre un decalogo che una famosa casa farmaceutica aveva distribuito anni fa, che diceva così:

Se vive nel rimprovero, diverrà più intransigente

Se vive nell’ostilità, diverrà più aggressivo

Se vive nella derisione, diverrà più timido

 Se vive nel rifiuto, crescerà sfiduciato

Se vive nella serenità, diverrà più equilibrato

Se vive nell’incoraggiamento, diverrà più intraprendente

Se vive nell’apprezzamento, diverrà più comprensivo

Se vive nella lealtà, diverrà più giusto

Se vive nella chiarezza, diverrà più fiducioso

Se vive nella stima, diverrà più sicuro di sé

Se vive nell’amicizia, diverrà un vero amico per il suo mondo

Ci interroghiamo spesso, come genitori ed educatori, su come aiutare i bambini e le bambine che ci vengono affidati a integrare le emozioni.  I bambini, lo sappiamo, sono un fiume pieno di emozioni e tendenzialmente le esprimono abbastanza chiaramente, specialmente nei primi anni di vita quando i filtri che gli adulti creano per loro, non sono ancora stati integrati. Questi filtri possono essere favorevoli all’espressione sana delle emozioni oppure, e accade molto più spesso di quanto crediamo, bloccarle sul nascere creando a volte dei piccoli traumi che saranno poi costretti a elaborare in età adulta. L’educazione emotiva dovrebbe partire da noi adulti. Se impariamo a gestire le nostre emozioni lavorando su noi stessi, i bambini, che sono dei grandi imitatori, non potranno fare altro che imparare a loro volta. 

I bambini non sono nostri, sono del mondo, noi siamo solo facilitatori in questa danza che si chiama vita.

Quando nasce un bambino i genitori sono esposti a tantissime emozioni, che sono poi quelle che li guideranno nel nutrirli e nel rispondere ai loro bisogni. Il legame che c’è tra madre e figlio è ineguagliabile. Questo legame è opera di un ormone, l’ossitocina, che il corpo secerne durante il parto e che, oltre a permettere alla donna di sopportare i dolori del parto, permette di creare questa unione unica e inimitabile. Quando la mamma e il bambino si guardano mentre lei lo nutre, quando lo accarezza cantandogli piano una ninna nanna o quando gli parla con voce dolce, il cervello di entrambi secerne continuamente ossitocina; non per niente, viene chiamato l’ormone dell’amore.

Il neonato si sente tranquillo e sicuro quando il suo cervello emotivo sa cosa sta per succedere, per questo il ritmo e la ritualità sono importanti per uno sviluppo armonico. La cura, i gesti, le cose semplici come allattarlo, vestirlo, fargli il bagnetto possono sembrare cose banali ma sono quelle cose essenziali che contribuiscono a dargli sicurezza, perché sono cose fondamentali per la sua sopravvivenza. Come maestra nella fascia d’età 3/6 anni ho potuto sperimentare che i bambini che hanno un regolare ritmo nella vita di tutti i giorni sono sereni, simpatici, fantasiosi, hanno voglia di giocare e di fare le cose. Non perdono tempo a piangere per le sciocchezze, non si impuntano sulle cose che non sono importanti, sono riflessivi, non sono aggressivi, sono presto consolabili, stanno bene con gli altri e sono d’esempio per tutti.

Anche il contatto fisico è un elemento molto importante per lo sviluppo del cervello emotivo. Per questo l’educazione all’affettività è una delle basi che ogni genitore e educatore dovrebbe esercitare sempre e continuamente. Attraverso un approccio affettivo i bambini imparano a distinguere ciò che è nocivo da ciò che è sano e nutritivo, scoprendo il piacere di essere sé stessi, di sentire e di esprimere la solidarietà, la cooperazione e la fiducia negli altri, riconoscendo ed accettando diversità ed unicità come risorsa e ricchezza. Apprendono a dare limiti in modo chiaro ed assertivo e a informare l’altro delle proprie necessità e desideri. Con l’educazione affettiva viene stimolata l’espressione di tutte le emozioni. Attraverso l’espressione creativa si facilita la possibilità di trasformare in espressione sana anche le emozioni che creano conflitto (quali ad esempio l’aggressività, la frustrazione ecc.), imparando così a proteggere e ad accrescere la capacità di sentire allegria, gioia e piacere di vivere.

Il nostro organismo è un meccanismo perfetto, oltre all’ossitocina, che, come abbiamo detto, è l’ormone dell’amore, quello che crea i legami con l’ambiente esterno, produce altri ormoni che ci predispongono a gestire lo stress: c’è la minaccia e lui ci invia cortisolo e adrenalina che ci invitano a reagire o a fuggire. Ci danno la forza e la velocità necessari e dopo mezz’ora arriva un altro ormone la tetrahidropregnenolone che ci aiuta ad abbassare i livelli di ansia e stress provocati dallo spavento. Arriva per metabolizzare quegli altri due ormoni che non servono, se non in situazioni di minaccia.

Negli adolescenti, per la loro particolare formazione del cervello, il tetrahidropregnenolone ha però l’effetto contrario, aumenta la sensazione di ansia; per questo motivo gli adolescenti vivono picchi di emozioni spiacevoli e una difficoltà a regolare queste emozioni. Questa informazione è molto importante perché, come adulti, dobbiamo gestire queste emozioni senza spaventarci e senza prendere sul personale le loro reazioni, ma contenerle in modo affettivo, visto che fanno parte della loro biologia. Dobbiamo essere consapevoli che per loro è un allenamento perché si preparano ad uscire dal nido, dalla situazione protetta e devono imparare a gestire le minacce. Hanno biologicamente bisogno di questo. Perciò è importante prevenire le situazioni stressanti negli adolescenti, per esempio, non facendogli vivere esperienze di apprendimento di cui non vedono il significato. È folle costringerli, in una fase evolutiva in cui uno dei bisogni più importante è quello legato alle relazioni sociali e all’opinione che hanno di loro i propri pari, non stimolare progetti cooperativi, incentivando invece lavori individuali. Il fatto che la depressione adolescenziale salga sempre di più è dovuta proprio alla sensazione di isolamento.

È fondamentale come accompagniamo i bambini nel processo di apprendimento perché possano esprimere tutto il loro potenziale. Dobbiamo sapere, sia come genitori che come educatori, che siamo delle guide importanti che, con il nostro atteggiamento, iniettiamo emozioni piacevoli o emozioni spiacevoli. In special modo durante il primo settennio di vita dei bambini dovremmo fare molta attenzione a come parliamo e a come ci muoviamo. Non dovremmo agire tramite rimproveri o generici precetti ma attraverso quello che facciamo, sapendo però che non li guidiamo solo attraverso i nostri atti ma anche con le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Se siamo arrabbiati o tristi cambiamo la nostra vibrazione. I bambini piccoli percepiscono l’anima delle persone, non con gli occhi ma con il cuore perché sono estremamente sensibili e ricettivi, essendo ancora legati al mondo soprasensibile.

I bambini devono essere liberi di poter giocare tanto perché il gioco è la dimensione costitutiva dell’essere umano, attraverso cui sviluppa competenze emotive cognitive, relazionali e corporee. Attraverso il gioco conosci te stesso, conosci il mondo. Anche gli animali imparano le cose giocando. La dimensione ludica è proprio una funzione biologica, è uno strumento funzionale, in particolare nei primi anni di vita ma poi per tutta la vita, per mantenere attiva questa parte del cervello. I giochi devono esser semplici per fare in modo che si sviluppi la fantasia che sarà poi quella che li aiuterà a trovare il loro posto nel mondo. Il compito dell’educatore, ma anche del genitore, è quello di aiutarli a tirare fuori e riconoscere ciò che hanno dentro. È importante che imparino a regolare correttamente le emozioni negative e che sviluppino le potenzialità che favoriscono una vita significativa, piena e soddisfacente.  

Per tutti questi motivi è indispensabile che educatori e genitori lavorino su di sé per essere felici e per stare bene con sé stessi. Il lavoro di un educatore è un lavoro faticoso ma lo diventa molto di più se viene fatto per obbligo e senza soddisfazione. Anche un genitore sempre stanco e insoddisfatto della sua vita non può essere d’aiuto a integrare emozioni positive. Abbiamo il dovere come adulti di riferimento di essere sinceri con noi stessi perché i bambini e le bambine ci guardano. Ci guardano con affetto e apprensione, ci scrutano e osservano tutto ciò che facciamo perché sanno che tanto della loro vita dipende da noi. Non possiamo nascondere ai loro occhi le cose che accadono, anche se a volte sono cose negative, ma dobbiamo prenderci la responsabilità e prenderci cura delle loro emozioni, dei loro sentimenti e dei loro pensieri.

Se gli adulti che circondano il bambino hanno una vita soddisfacente e felice, se amano il proprio lavoro e lo fanno con passione e con piacere non potranno che essere un esempio per loro. Un genitore che ama il suo lavoro e la sua vita, potrebbe avere meno tempo di altri da trascorrere con i suoi bambini, ma quel tempo sarà di qualità e ricco di emozioni positive.

L’educazione sarà quella che aiuterà l’essere umano a trovare la sua vera natura. Ogni essere umano anela inconsciamente a cercare la libertà e l’amore per il libero arbitrio. A nessuno piace odiare e fare del male, perché vorrebbe dire essere malati nell’anima. Per amare gli altri, bisogna però amare prima di tutto se stessi.

Le emozioni sono innanzitutto dei segnali esistenziali che ci indicano la rotta giusta e quell’energia che ci mette in movimento verso di essa.

Paolo Mai (esperto di educazione emozionale dell’accademia della Pedagogia viva)

                                                                                                                                                             

Eccoci giunti al penultimo incontro pedagogico, arrivederci a giugno col nostro ultimo appuntamento, sul tema del “Gioco Libero”.

Con affetto, Maestra Dolziana